lunedì 15 febbraio 2010

Quotidiano L'Osservatore Romano



La revisione del Concordato tra Italia e Santa Sede

Quello strumento di conciliazione e di solidarietà



di Gennaro Acquaviva
Presidente della Fondazione Socialismo

Nel commemorare il venticinquesimo della revisione del concordato tra Italia e Santa Sede, il cardinale Achille Silvestrini terminava il suo intervento scritto alla tavola rotonda conclusiva del convegno promosso un anno fa dalla Fondazione della Camera dei deputati con queste parole: "Il grande ricordo che ho degli esponenti di quella classe politica non è soltanto una memoria, è un esempio che va ricordato, oggi soprattutto" (Problemi e prospettive dei Patti Lateranensi a 25 anni dalla revisione, Roma, Fondazione della Camera dei deputati, 2009, p. 73). Forse sta proprio in questa considerazione di un ecclesiastico che conosce bene la politica italiana l'utilità di tornare a riflettere su quello strumento di conciliazione e di solidarietà che sembra ormai essere entrato quasi naturalmente nelle pieghe profonde della società italiana, tanto da fare quasi dimenticare, per l'evidente consenso che lo circonda, contrasti e fratture che pure hanno avuto un rilievo nella storia della Nazione italiana.
Nell'intervento al convegno tenutosi a Montecitorio il 18 febbraio 2009 il porporato enumerò i nomi di molti di quegli esponenti, a partire naturalmente da Bettino Craxi e dal cardinale Agostino Casaroli: Guido Gonella e Giulio Andreotti, Valerio Zanone e Paolo Bufalini, Lelio Basso, Gaetano Arfè e Giovanni Spadolini; e non dimenticò coloro che avevano appassionatamente messo la propria scienza al servizio del necessario rinnovamento: Arturo Carlo Jemolo, il gesuita Salvatore Lener, Roberto Ago, Vincenzo Caianiello e, ovviamente non ultimi, Francesco Margiotta Broglio e l'allora vescovo ausiliare di Milano, oggi cardinale, monsignor Attilio Nicora.
Proviamo dunque a riflettere su un fatto che ha indubbiamente rilevanza storica nel rapporto tra lo Stato e la Chiesa in Italia, ricordandolo anche da questo particolare angolo di visuale: quello cioè di una classe politica che, alla vigilia di una fine anche drammatica, dimostrò in quel decennio di avere in sé una capacità di guida e di azione considerevoli, giungendo anche allo scioglimento di diversi nodi importanti della vicenda italiana. Tra i maggiori va ricordata naturalmente la revisione concordataria, che in quel periodo poteva sembrare addirittura un reperto archeologico, non fosse altro perché erano ormai passati quasi quarant'anni dalle solenni promesse di modifica del concordato del 1929, annunciate da De Gasperi e da Togliatti nel 1947 davanti alla Costituente.
Certo non erano stati inutili quei decenni, perché l'andare della storia e il prezioso lavoro di ripulitura e di sfrondamento compiuto avevano fatto maturare sul tema un consenso diffuso, sufficiente ad attenuare, se non a risolvere, alcuni fatti traumatici che erano comunque intervenuti e che indubbiamente si erano dimostrati difficili da governare. Quello che soprattutto era mancato per la risoluzione del problema, nel corso del ventennio precedente l'avvento al Governo di Craxi, non stava solo nel merito; più importante si era dimostrata l'incapacità di solidificare una risoluzione favorevole che ormai era considerata matura, giacché alla stretta finale, di fronte a una decisione che rimaneva comunque difficile, le forze politiche e principalmente i Governi quasi si ritraevano, non riuscendo a evitare crisi e sbandamenti; in particolare, non erano in grado di generare, sia dentro che fuori il Parlamento, un consenso ampio sul tema che fosse capace anche di durare nel tempo.
Tutte queste difficoltà si dissolsero nel biennio 1983-1984 con Craxi alla guida del Governo. Non fu naturalmente opera di magia, giacché il presidente del Consiglio utilizzò con abilità la sua riconosciuta capacità di decisione, che si intrecciò con una lucida visione della storia: un combinato che il leader socialista dimostrò allora di possedere. Certo Craxi e il suo partito non erano in partenza il meglio che allora si potessero attendere i vescovi italiani e forse neppure la Santa Sede; ma entrambi aspettavano da troppo tempo un'occasione per concludere positivamente una vicenda che si trascinava ormai da molti anni e che proprio per questo presentava anche risvolti preoccupanti. Oggi possiamo riconoscere che fecero bene ad andare avanti. Questo vale in particolare per la legge di riforma del finanziamento e dei beni ecclesiastici, che rappresenta il vero punto di innovazione.
Il personaggio politico che allora rese possibile questa conclusione positiva fu, pochi anni dopo, estromesso dalla vita politica e sottoposto a gravi conseguenze giudiziarie per il finanziamento illegale ai partiti, con modalità che il presidente Giorgio Napolitano, in occasione del decennale della sua morte, ha riconosciuto essere cadute "con durezza senza eguali sulla sua persona". Craxi fu sempre un socialista liberale, duramente anticomunista; per queste medesime ragioni guardava al cristianesimo e al cattolicesimo con rispetto e attenzione, esprimendo inoltre una partecipazione appassionata alle battaglie di Giovanni Paolo ii per la promozione e la salvaguardia dei diritti di ogni uomo e di tutti i popoli.
La convinzione che lo guidò nel varare la revisione concordataria partiva dall'idea che il cristianesimo e la Chiesa romana rappresentavano in Italia un fatto di popolo, capace di parlare al Paese ed esserne un prezioso elemento coagulante; per questa ragione ritenne che la normativa e la legislazione che li riguardavano erano un atto dovuto e non un privilegio, da costruirsi naturalmente attraverso gli strumenti della democrazia parlamentare. E quando si trattò di definire la direttiva per chi dovesse rappresentare il suo Governo nel negoziato per redigere la normativa da cui nacque l'otto per mille, fu inequivoco: "Non affamate i preti", comandò netto. E aggiunse senza perifrasi la convinzione che lo sosteneva nel dettare quel comportamento: e cioè che l'Italia, il tessuto e anche la vita democratica del Paese senza la Chiesa e il suo clero non reggevano.
"Dio scrive dritto su righe storte". Tanti anni fa Livio Labor ripeteva spesso queste parole a noi giovani, appassionati ma anche agitati militanti delle Acli, le Associazioni cristiane lavoratori italiani. Credo che questo motto, usuale nel grande cattolicesimo lombardo di quel tempo, ci consenta di comprendere appieno quanto avvenne allora nel mezzo della decadenza di un sistema politico: l'emergere di una volontà decisa e insieme saggia, capace per questo di consentire la revisione del Concordato. E questo motto può aiutarci ancora oggi, dinnanzi al nostro ambiguo e difficile presente.



(©L'Osservatore Romano 14 febbraio 2010)

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